Giambettino Cignaroli

Transito di San Giuseppe

La terza cappella della navata laterale destra della Basilica di San Martino ad Alzano Lombardo ospita l’altare dedicato a San Giuseppe, figura assai venerata in epoca barocca. Il progetto dell’altare è di Giovan Battista Caniana, mentre l’esecuzione, risalente al 1736, è opera della bottega di Carlo Antonio Manni, residente a Gazzaniga, anche se originario di Rovio nel Canton Ticino Le due pregevoli statue di angeli sui lati ed il paliotto con la rappresentazione della Fuga in Egitto sono di Giovanni Sanz. Tutti i marmi usati appaiono di gran pregio (Carrara, Ardesio, diaspro, rosso di Francia, verde di Varallo) e creano un teatrale effetto coloristico tipico della sensibilità barocca.

Sull’altare sta una grande pala, un olio su tela, con rappresentato il Transito di San Giuseppe, il suo passaggio dalla vita terrena, attraverso la morte, a quella spirituale. Si tratta di una fra le migliori opere del pittore veronese Giambettino Cignaroli, tra i più significativi rappresentanti della pittura veneta del Settecento. Ai lati dell’altare stanno due tele  con Sant’Agata e Santa Maria Maddalena penitente, anch’esse caratterizzate dal taglio fortemente allungato delle figure e dalla dinamicità della composizione. Sono opera di Giandomenico Cignaroli, fratellastro di Giambettino e suo collaboratore.

L’ARTISTA

Giambettino Cignaroli nacque a Verona nel 1706, città in cui morirà nel 1770. Nella sua giovinezza fu allievo di Antonio Balestra e si formò a contatto con l’opera del francese Louis Dorigny (in Basilica sono conservate le sue tele raffiguranti San Sebastiano e San Rocco), ma venne influenzato poi anche fortemente dalle opere del bellunese Sebastiano Ricci, improntate a composizioni mosse e luminose, caratterizzate da una stesura leggera e da una tavolozza di colori pastellati.  Giambettino fu autore di opere di soggetto sacro (come la Fuga in Egitto, del 1742, in Santa Maria Maggiore a Bergamo e la Trinità con i santi Niccolò, Basilio e Gregorio, del 1762, per la chiesa di Santa Maria della Steccata a Parma), ma anche di soggetto mitologico, sempre improntate ad un gusto classicistico.

L’OPERA

Nel Transito di San Giuseppe di Cignaroli la parte inferiore del dipinto appare caratterizzata da aspetti fortemente umani e concreti. La figura emaciata e sofferente di Giuseppe, sorretta con tenerezza da un giovane Gesù, giace su un umile pagliericcio, il quale è a sua volta posto su un semplice assito di grezze tavole. A dare maggior concretezza, in primo piano, a separare, ma nello stesso tempo a guidare l’osservatore verso il letto visto di scorcio, sono un lucente vaso ed un ampio recipiente metallico, la cui tinta ramata dona naturalezza all’insieme. 

La composizione appare fortemente dinamica, essendo scandita da linee oblique dall’opposto andamento. Linee che, dal gruppo costituito dal vecchio santo morente fra le braccia del Cristo e dalla Vergine Maria, che appare in posizione intermedia (come vuole la dottrina cattolica che la vede tramite privilegiato tra Terra e Cielo), salgono bruscamente oltre le nuvole, seguendo la decisa linea spezzata creata dalla figura di Mosè e dalle tavole della Legge da lui sostenute, per condurci alla figura di Abramo (riconoscibile dalla presenza del coltello sguainato, richiamo al sacrificio di Isacco, immagine prefigurante il sacrificio del Cristo, del Figlio).

Attraverso la Legge, rappresentata da Mosè, e attraverso la Fede, simboleggiata dalla presenza di Abramo stesso, questi ci può accogliere sulla soglia del Paradiso. La presenza paradisiaca è rafforzata dalla luce che proviene da una finestra interna all’illusorio spazio prospettico creato dal pittore al di là della cornice superiore, caratterizzata dal barocco andamento a linee concave e convesse alternate. Qui la luce naturale che filtra dalla finestra dell’ampio androne voltato si trasforma in luce spirituale che si riflette nei colori cangianti delle nuvole che segnano il passaggio dall’umano al divino.

I colori sono chiari e luminosi, tipici di molta pittura veneta classicheggiante dell’epoca. In particolare quelli usati per le vesti dei due patriarchi sono nel caso di Mosè il violetto e il giallo, per Abramo il verde e il rosso, due copie di complementari, che creano un effetto di equilibrio e di armonia. Elementi che, nonostante il forte, barocco, dinamismo compositivo, contraddistinguono tutto il dipinto.

IL SIGNIFICATO

Il Nuovo Testamento non dice nulla della morte di Giuseppe; anzi non attribuisce al santo nemmeno una parola. Ciò che lo caratterizza è il restare all’ombra del Figlio, esserne stato l’amorevole protettore umano della fanciullezza.  Il Vangelo lo definisce un Uomo Giusto (Mt 1,19).

La morte di San Giuseppe è però raccontata dettagliatamente in un testo apocrifo, la “Storia di Giuseppe il falegname”, che lo descrive tormentato dalla malattia e consolato da Maria e Gesù. Alla fine la sua anima sarà accolta in Paradiso.

Il dipinto appare in profondità segnato dal verso del Vangelo di Matteo, che qui possiamo applicare alla figura umile, ma forte nella sua decisione, di Giuseppe: “Servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore” (Mt 25,21). Nello stesso tempo un ruolo determinante nel contesto del dipinto lo assume anche il giovane Gesù, modello di compassione filiale, per il quale riecheggiano le parole del Siracide: “La pietà verso il padre non sarà dimenticata” (Sir 3,14).

a cura di Riccardo Panigada (Conservatore del Museo d’Arte Sacra San Martino)