Giovanni Antonio Sanz

Riposo durante la fuga in Egitto – 1736

Il tema della Fuga in Egitto, tratto dal racconto dell’infanzia di Cristo presente nel solo Vangelo di Matteo, è un tema che ha affascinato pittori ed artisti attraverso tutti i tempi.
Nella Cappella di San Giuseppe della Basilica di San Martino il paliotto dell’altare propone proprio questo soggetto ed in particolare il Riposo durante la fuga in Egitto. Si tratta di un interessante opera di Giovanni Sanz, per capire meglio la quale conviene prima accennare a due opere realizzate dai pittori che hanno aperto la strada al rinnovamento Seicentesco, sebbene in modo assai diverso.

Annibale Carracci – La fuga in Egitto – 1603-04

Annibale Carracci, bolognese, si formò sullo studio dei grandi maestri del primo Cinquecento e fondò a Bologna insieme al fratello Agostino e al cugino Ludovico l’Accademia degli Incamminati, che contribuì a promuovere la reazione antimanierista. Chiamato a Roma nel 1595, fu incaricato di affrescare la Galleria di Palazzo Farnese, che risulterà il suo capolavoro e segna l’inizio dell’arte barocca. Ispirato da Raffaello e dall’arte antica, rielaborò in modo armonioso la tradizione classica, toccando anche accenti di intenso patetismo. Se Caravaggio è il padre del “naturalismo”, Annibale lo è del “classicismo” seicentesco.

Giovanni Antonio Sanz - Riposo durante la fuga in Egitto – 1736

La sua Fuga in Egitto, databile agli anni 1603-1604, è oggi conservata presso la Galleria Doria Pamphilj di Roma, ma secondo il critico d’arte seicentesco Pietro Bellori la lunetta era stata realizzata per la Cappella di Palazzo Aldobrandini. Nell’opera del maestro bolognese le figure di Maria, del Bambino e di Giuseppe, per quanto in posizione centrale e in primo piano, appaiono assai piccole e così si perdono in un paesaggio pastorale, caratterizzato da una composizione perfettamente calibrata e bilanciata, alla ricerca di un equilibrio formale e di una bellezza idilliaca tipiche del suo stile classicista. La cittadella fortificata che sovrasta e sottolinea il gruppo della Sacra Famiglia con il suo richiamo alla rotonda del Pantheon, il lago lontano con l’accenno esotico alla carovana di cammelli, il pastore con la zampogna che guida il suo gregge, sottolineano un idealizzato mondo bucolico virgiliano e prefigurano l’Arcadia di fine Seicento.

Michelangelo Merisi, il Caravaggio – Riposo durante la Fuga in Egitto – 1599-1600

Michelangelo Merisi, il Caravaggio nacque nell’omonima cittadina della bassa bergamasca o, secondo alcuni, a Milano nel 1571. Artista dal temperamento inquieto, superò l’accademismo manierista inaugurando una nuova concezione estetica fondata su un accentuato naturalismo e che, nella fase più matura, raggiunse intensi e drammatici effetti luministici. Formatosi a Milano presso il pittore leonardesco Simone Peterzano, subì l’influsso della cultura lombardo-veneta di Lotto, Savoldo e Moroni, ma anche dell’opera cremonese dei Campi. Nel 1590 il pittore è a Roma, dove conobbe momenti di miseria e dove entra nella bottega del Cavalier d’Arpino. A questa prima fase artistica appartiene il Riposo durante la fuga in Egitto così come varie opere “di genere” con scene di carattere popolare. in cui prevalgono un tono malinconico e colori luminosi ancora di derivazione veneta.

Michelangelo Merisi, il Caravaggio nacque nell’omonima cittadina della bassa bergamasca o, secondo alcuni, a Milano nel 1571. Artista dal temperamento inquieto, superò l’accademismo manierista inaugurando una nuova concezione estetica fondata su un accentuato naturalismo e che, nella fase più matura, raggiunse intensi e drammatici effetti luministici. Formatosi a Milano presso il pittore leonardesco Simone Peterzano, subì l’influsso della cultura lombardo-veneta di Lotto, Savoldo e Moroni, ma anche dell’opera cremonese dei Campi. Nel 1590 il pittore è a Roma, dove conobbe momenti di miseria e dove entra nella bottega del Cavalier d’Arpino. A questa prima  fase artistica appartiene il Riposo durante la fuga in Egitto così come varie opere “di genere” con scene di carattere popolare. in cui prevalgono un tono malinconico e colori luminosi ancora di derivazione veneta.  Ben diverso appare il tema Fuga in Egitto così come è trattato dal pennello di Caravaggio. Il Merisi nel suo dipinto, anch’esso alla Galleria Doria Pamphilj di Roma, pone al centro le figure umane e il paesaggio assume solo un ruolo di contorno e sottofondo, con la vegetazione caratterizzata da essenze comuni e prive di ogni esotismo. Maria, vinta dalla fatica del viaggio e dalle emozioni, si è addormentata tenendo teneramente  fra le sue braccia il Bambino, anch’esso dormiente. Giuseppe, da buon padre, veglia e la sua figura assume accenti di profonda umanità. Basterebbe guardare i suoi piedi, con l’uno che strofina l’altro intorpidito e infreddolito. Al suo fianco un sacco raccoglie le povere masserizie salvate nella fretta della fuga. Appare anche un piccolo e gustoso particolare: il fiasco impagliato di cui però Giuseppe ha dimenticato il tappo sostituendolo con pezzo di carta arrotolata. Tutto è molto umano e concreto, anche l’angelo, che col suo violino scende dai cieli ad allietare il sonno del Bambino, poggia solidamente i piedi per terra e legge lo spartito che Giuseppe tiene aperto di fronte a lui, proprio come farebbe un musicista qualsiasi (tra l’altro si tratta di un “mottetto” olandese trascritto con cura dal Merisi, ottimo conoscitore della notazione musicale). E solo ora l’osservatore si accorge che tra le foglie del querciuolo alle spalle di queste figure, si fa strada il muso dell’asinello che assiste nel viaggio la Sacra Famiglia e che appare anch’esso attratto dalla melodia celestiale. Se il dipinto di Caravaggio appare così calato nel reale, come spesso avviene nel pittore di origini bergamasche, la natura e il paesaggio svolgono anche un ruolo simbolico importante: accanto all'anziano Giuseppe il terreno appare arido e sassoso, mentre la natura ed il paesaggio sono più rigogliosi a destra, dove si trova la Vergine col Bambino. Ai piedi della Vergine stanno poi piante che simbolicamente alludono alla verginità di Maria (l'alloro), alla Passione (la rosa), alla Resurrezione (il tasso barbasso).

Ben diverso appare il tema Fuga in Egitto così come è trattato dal pennello di Caravaggio. Il Merisi nel suo dipinto, anch’esso alla Galleria Doria Pamphilj di Roma, pone al centro le figure umane e il paesaggio assume solo un ruolo di contorno e sottofondo, con la vegetazione caratterizzata da essenze comuni e prive di ogni esotismo.
Maria, vinta dalla fatica del viaggio e dalle emozioni, si è addormentata tenendo teneramente fra le sue braccia il Bambino, anch’esso dormiente. Giuseppe, da buon padre, veglia e la sua figura assume accenti di profonda umanità. Basterebbe guardare i suoi piedi, con l’uno che strofina l’altro intorpidito e infreddolito. Al suo fianco un sacco raccoglie le povere masserizie salvate nella fretta della fuga. Appare anche un piccolo e gustoso particolare: il fiasco impagliato di cui però Giuseppe ha dimenticato il tappo sostituendolo con pezzo di carta arrotolata. Tutto è molto umano e concreto, anche l’angelo, che col suo violino scende dai cieli ad allietare il sonno del Bambino, poggia solidamente i piedi per terra e legge lo spartito che Giuseppe tiene aperto di fronte a lui, proprio come farebbe un musicista qualsiasi (tra l’altro si tratta di un “mottetto” olandese trascritto con cura dal Merisi, ottimo conoscitore della notazione musicale). E solo ora l’osservatore si accorge che tra le foglie del querciuolo alle spalle di queste figure, si fa strada il muso dell’asinello che assiste nel viaggio la Sacra Famiglia e che appare anch’esso attratto dalla melodia celestiale.
Se il dipinto di Caravaggio appare così calato nel reale, come spesso avviene nel pittore di origini bergamasche, la natura e il paesaggio svolgono anche un ruolo simbolico importante: accanto all’anziano Giuseppe il terreno appare arido e sassoso, mentre la natura ed il paesaggio sono più rigogliosi a destra, dove si trova la Vergine col Bambino. Ai piedi della Vergine stanno poi piante che simbolicamente alludono alla verginità di Maria (l’alloro), alla Passione (la rosa), alla Resurrezione (il tasso barbasso).

Giovanni Antonio Sanz - Riposo durante la fuga in Egitto – 1736

Giovanni Antonio Sanz – Riposo durante la fuga in Egitto – 1736

Giovanni Antonio Sanz, figlio del pittore bavarese Bernardo, nacque a Bergamo, dove il padre si era trasferito, nel 1702. Tuttavia la sua giovinezza la trascorse tra Baviera e Ungheria,  facendo ritorno a Bergamo solo nel 1737 dove, come scultore, ebbe importanti commissioni, spesso collaborando con Giovan Battista Caniana, come in San Michele all’Arco, in Santa Grata in Columnellis o per i banchi lignei della Cappella Colleoni a Bergamo o in Santa Maria Assunta a Cologno al Serio. Giovanni morirà a Bergamo probabilmente nel 1771.
La sua Fuga in Egitto per il paliotto dell’altare alzanese, in marmo bianco di Carrara, è inserita in una cornice di marmo Giallo di Verona i cui tratti mistilinei, caratterizzati da curve concave e convesse, già aderiscono ai modi del tardo barocco e del Rococò e si stagliano sul verde serpentino di Varallo dello sfondo. L’opera è databile al 1736 e quindi di oltre un secolo posteriore ai dipinti di Carracci e Caravaggio.

Tuttavia è evidente l’eco della tradizione da loro iniziata: la scena appare serena, inserita in un paesaggio idilliaco con alberi verdeggianti in primo piano e dolci colline sullo sfondo. Tra gli alberi due piccoli angeli vegliano sul sacco con le povere cose della famiglia fuggitiva, chiara citazione caravaggesca. Un terzo angioletto custodisce l’asinello intento a brucare il fogliame. Al centro uno stanco Giuseppe appare addormentato (ma del suo sonno parleremo altra volta), mentre Maria, molto umanamente è intenta ad allattare il Bambino (il tema era stato proibito dalla Controriforma, ma pian piano era tornato in auge nella pittura lombarda). Gli angeli stendono un drappo sulla Sacra Famiglia per proteggerla dalla calura meridiana. Tuttavia è proprio questo gesto così semplice a svelare il significato più profondo dell’immagine con il suo richiamo all’ombra divina protettrice: la Shekhinah. E poi, come in Caravaggio, ai piedi di Maria compaiono le foglie carnose del verbasco, il tasso barbasso che ogni anno muore e poi risorge.

a cura di Riccardo Panigada (Conservatore del Museo d’Arte Sacra San Martino)