Giovanni Battista Piazzetta

Martirio di San Cristoforo

Le cappelle che, secondo i dettami della Controriforma, si affacciano sulle campate di ciascuna navata laterale della Basilica di San Martino appaiono particolarmente armoniche nel loro insieme e ricche di pregevoli opere artistiche.

La prima cappella a destra è quella dedicata a San Cristoforo.

L’altare, su progetto di Gian Battista Caniana fu eseguito dal bresciano Baroncini nel 1750 e venne a lui pagato 1200 scudi. I complessi e stupendi intarsi geometrici e floreali sono realizzati con marmi preziosi (rosso di Francia, pavonazzetto, mandorlato di Verona, brentonico, diaspro di Sicilia), che danno all’insieme un aspetto assai variato per le forti accentuazioni cromatiche. 

La pala centrale con il Martirio di San Cristoforo è del grande pittore veneziano Giovanni Battista Piazzetta e venne completata, alla morte dell’artista, dal suo discepolo Giuseppe Angeli.

GLI ARTISTI

Giovanni Battista Piazzetta nacque a Venezia nel 1682 e lì morì nel 1754.

Dopo aver iniziato la sua formazione nella città lagunare, si recò all’inizio del secolo a Bologna dove fondamentale fu per il proseguo della sua attività lo studio delle opere di Giuseppe Maria Crespi, da cui prese l’interesse per tematiche popolaresche e di genere, tradotte in dipinti caratterizzati dal forte plasticismo, reso da intense macchie di colore e dal contrasto di luci e ombre. Dopo essere tornato a Venezia, nel 1711, diede avvio ad una fiorente bottega e dipinse numerose pale d’altare, caratterizzate da scene rese drammatiche, dai forti contrasti chiaroscurali e dall’uso di una pennellata larga e semplificata. La drammaticità è poi spesso acuita da composizioni impostate sulle diagonali (come in San Giacomo condotto al supplizio, del 1717, per la chiesa veneziana di San Stae), dagli aspetti fortemente scorciati che assumono le figure e dal colore acceso (come nella Gloria di San Domenico, del 1725, nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, sempre a Venezia). 

Nella sua piena maturità artistica il suo stile pittorico vira verso un cromatismo più chiaro e luminoso, che prelude all’opera di Giambattista Tiepolo (come nell’Assunta del 1735, oggi al Louvre di Parigi). Piazzetta realizzò anche numerosi dipinti di genere, riflettendo nella scelta dei soggetti i richiami alla vena popolaresca del Crespi (come nella Donna che si spulcia del Museum of Fine Arts di Boston). Inoltre realizzò numerose tele con scene bibliche (Rebecca al pozzo, oggi all’Accademia di Brera di Milano) e soggetti profani, come temi arcadici e pastorali (L’Indovina, alle Gallerie dell’Accademia di Venezia), sempre caratterizzati dagli eleganti e raffinatissimi accostamenti di colore e da un modellato delicato, ottenuto con il trascolorare graduato degli effetti di luce. Nell’ultima fase della sua attività riprese i suoi precedenti schemi compositivi e i motivi tipici del suo vasto repertorio, replicandoli in numerose pale d’altare, sempre più avvalendosi di aiuti e collaboratori.

Fra questi Giuseppe Angeli (Venezia 1712 – 1798) che fu allievo del Piazzetta e al cui stile si ispirò. L’Angeli venne comunque influenzato anche dall’acceso cromatismo di Jacopo Amigoni, pittore napoletano, formatosi a Venezia e particolarmente attivo in Baviera, dove lavorò nei castelli di Nymphenburg e Schlessheim e nell’importante abbazia di Ottobeuren, che rinnovò la pittura lagunare in senso rococò, e dall’eleganza di Giambattista Tiepolo, il più grande pittore a livello europeo del periodo tardobarocco. L’Angeli fu autore di numerose opere sacre (come La caduta della manna e Il sacrificio di Melchisedech nella chiesa veneziana di San Stae o il Cristo crocifisso tra la Vergine e San Rocco, sempre a Venezia , nella Scuola di S. Rocco o l’Elia sul carro di fuoco, tela conservata oggi alla National Gallery di Washington), ma anche di decorazioni di edifici pubblici e privati, in particolare con soggetti storici e mitologici.   Si dedicò anche alla realizzazione di scene di genere (come la Lezione di astronomia all’Ermitage di San Pietroburgo o Il militare e il piccolo tamburino, conservato al Museo del Louvre di Parigi).

L’OPERA E IL SUO SIGNIFICATO

Il dipinto alzanese mostra San Cristoforo, posto tra i suoi carnefici, nell’attesa del martirio. Si tratta di un’iconografia del tutto inconsueta, essendo normalmente il santo effigiato nel momento in cui trasporta sulle sue spalle il Bambino (come nel dipinto di Tintoretto conservato nel Museo d’Arte Sacra San Martino).

La tela venne commissionata dai fabbricieri di San Martino al Piazzetta, probabilmente nel 1752, quando l’artista veneziano aveva ormai settant’anni. Si tratta forse dell’ultima opera intrapresa dal grande pittore. Alla sua morte, due anni dopo, probabilmente solo la testa del carnefice che sguaina la spada era completamente stata portata a termine. Sui disegni del maestro, l’opera venne poiconclusa dal di lui allievo Giuseppe Angeli.

Tutto lo spazio del quadro è permeato da una tensione verso l’alto, accentuata dalla posizione centrale del corpo chiaro del santo e dal fiotto di luce che scende dal cielo e sembra trasfigurarlo, già accogliendolo fra gli angeli. La parte centrale del dipinto contrasta con le parti laterali decisamente più oscure ed immerse nell’ombra. Emerge netto il rapporto tra tenebre e luce, tra peccato e grazia divina redentrice.

Le due figure dei carnefici, l’uno inginocchiato e l’altro eretto, creano tuttavia, con il tramite della mani giunte in preghiera e della testa del santo, una linea obliqua ascendente che rompe decisamente la possibile monotonia creata dalla posizione simmetrica delle due figure.

Gli atteggiamenti sono improntati ad un aspetto fortemente teatrale, in particolare la figura dell’angelo, che più in basso rispetto agli altri serve anche a riempire lo spazio lasciato libero dall’aguzzino inginocchiato. Di forte patetismo poi il volto illuminato e lo sguardo ascetico del santo.

Nonostante le figure non raggiungano la solidità delle eleganti costruzioni scorciate delle opere interamente di mano del Piazzetta, né le sue delicatezze chiaroscurali e coloristiche, l’insieme si presenta particolarmente interessante per il dinamico taglio compositivo e un colorismo luminoso già di tendenza rococò.

Ai lati dell’altare sono collocati due quadri rappresentanti l’uno San Rocco e l’altro San Sebastiano, ambedue opera del Dorigny che li realizzò nel 1709. Questi santi costituivano insieme a San Cristoforo una triade assai cara agli alzanesi, ma di questo e delle tele del pittore francese parleremo un’altra volta.

a cura di Riccardo Panigada (Conservatore del Museo d’Arte Sacra San Martino)