Giovanni Raggi

Balaam benedice Israele

Alcune delle grandi tele settecentesche originariamente commissionate per la Cappella del Rosario della Basilica di San Martino ad Alzano Lombardo e poi sostituite da opere di stile neoclassico sono oggi conservate nel Museo d’Arte Sacra San Martino. Fra queste il dipinto rappresentante Balaam benedice Israele di Giovanni Raggi.
La tela venne commissionata dai Fabbricieri della Basilica nel 1767 e faceva parte della complessa iconografia mariana all’interno della quale deve essere interpretato il soggetto con la rilettura di episodi dell’Antico Testamento, tradizionalmente prefiguranti caratteristiche e virtù inerenti la Vergine Maria o ad essa richiamanti.

L’ARTISTA

Giovanni Gerolamo Raggi nacque il 26 agosto 1712 a Bergamo. Il nonno era il pittore genovese Pietro Paolo Raggi, che nella maturità si era stabilito a Bergamo dedicandosi soprattutto ai soggetti sacri. Anch’egli aveva operato in precedenza nella basilica alzanese, realizzando le tre grandi tele con Miracoli di San Martino poste nella volta nella navata centrale.
Giovanni dapprima frequentò la scuola aperta nel suo convento da Fra Galgario, dal quale apprese l’arte del ritratto. Ammirato dall’opera del Tiepolo, impegnato nel 1732, a Bergamo nell’esecuzione degli affreschi della Cappella Colleoni, entrò in contatto con lui e lo raggiunse a Venezia ottenendo di aiutarlo nella bottega e diventandone allievo e poi collaboratore. Dopo otto anni il Raggi si trasferì a Verona al seguito del conte Vincenzo Barzizza, suo protettore. Nella città veneta ebbe modo di eseguire molti ritratti; altri gliene furono richiesti durante il suo breve soggiorno a Mantova. La conoscenza di Giambettino Cignaroli (del quale abbiamo già preso in considerazione in queste note il Transito di San Giuseppe, che sarà realizzato nel 1759 per la chiesa di Alzano) e dell’opera di Antonio Balestra indusse il Raggi a distaccarsi a poco a poco dalla lezione tiepolesca e ad assumere una sua identità. Il disegno diventa più preciso, il tocco più delicato nella stesura, la coloritura più armonica ed equilibrata, mentre si accentua il patetismo delle figure con risultati più decisamente espressivi.
Nel 1757 Giovanni Raggi rientra a Bergamo; con la sua città aveva comunque mantenuto sempre contatti, anche attraverso varie commissioni artistiche. Il decennio 1760-70 vede la piena affermazione dell’artista, che è chiamato a realizzare opere un po’ in tutta la bergamasca e che firma proprio in questo periodo i suoi capolavori. Il Raggi muore a Bergamo nel 1793.

IL SIGNIFICATO

La grande tela della Cappella del Rosario (misura ben 347 centimetri di altezza) rappresenta un episodio tratto dal biblico libro dei Numeri: il profeta Balaam viene invitato da Balak, il re del paese di Moab, a maledire il popolo di Israele, che si appresta ad attraversare il suo territorio.
Siamo infatti ad est del fiume Giordano, ormai alla fine dei quarant’anni di peregrinazione del popolo ebraico nel deserto, e Balak teme di essere sconfitto, come è avvenuto per altri popoli, dagli Israeliti.

Balaam risponde ai messi di Balak di attendere il giorno seguente per sapere cosa gli dirà Dio, il quale infatti gli appare e gli impone di non andare. Balak invia allora nuovi messi per convincerlo, promettendo a Balaam grandi ricchezze. Nella notte Dio appare ancora a Balaam al quale dà ora il permesso di andare “…ma farai ciò che io ti dirò.” Balaam parte verso Moab in sella alla sua asina. Il suo cammino è però ostacolato dall’angelo del Signore che tiene in mano una spada. L’asina l’unica a vedere l’angelo, cerca di deviare la strada per tre volte, mentre Balaam infuriato ed ignaro comincia a punirla, visto che rifiuta di muoversi. A questo punto l’asina riceve miracolosamente il potere di parlare e si lamenta del trattamento ricevuto dal suo padrone.

Allora Dio concede anche a Balaam di vedere l’angelo, che gli svela il significato del comportamento dell’asinella che lo ha salvato dall’ira divina. Balaam immediatamente si pente, domanda se deve tornare indietro ma l’angelo gli ordina di proseguire e ripete “…ma dirai soltanto quello che io ti dirò”. Giunto finalmente da Balak, i due si recano si recano negli “alti luoghi di Baal”, e offrono sacrifici su sette altari. Infine nonostante il re di Moab gli intimi il contrario, ispirato da Dio, Balaam giunge, al contrario, a benedire per ben tre volte l’accampamento degli israeliti, profetizzando anche la lontana venuta del Messia salvatore: “Lo vedo, ma non ora, lo contemplo, ma non da vicino: un astro sorge da Giacobbe…” (Numeri 24,17).

L’OPERA

Il Raggi costruisce l’immagine in modo scenografico, ancora legata alla tipica teatralità barocca. La forma allungata del dipinto è percorsa da varie linee compositive oblique che ne accentuano la dinamicità e ne ampliano le dimensioni visive.

Questo è particolarmente evidente nella parte inferiore del dipinto dove la struttura prospettica “a cannocchiale”, aiutata in questo dagli abili contrasti di luminosità, gioca a scalare le figure in profondità, fino a insinuare lo sguardo dell’osservatore in una scoscesa gola rocciosa e a guidarlo fino al lontano campo del popolo di Mosè.

Le figure, in primo piano sono caratterizzate da colori brillanti e da scorci arditi, come in particolare nell’uomo di spalle all’estrema sinistra, ma anche da una naturalità e quotidianità, che culmina nel bambino che guarda con stupore e interesse il cane che beve dalla scodella in primo piano a destra.

Queste figure sottolineano il forte contrasto con la parte superiore del dipinto dove è richiamato l’episodio biblico vero e proprio. La rupe e le fronde di un albero accentuano lo slancio verticale della tela, conducendo lo sguardo verso la parte superiore, aperta e aerea.

Qui l’attenzione è attratta dall’esuberante teatralità dei gesti dei personaggi, Balaam e il re Balak, che si stagliano nettamente sullo sfondo, da cui piove una forte luminosità, accentuata dai colori complementari delle nuvole e del cielo; luminosità che è simbolico richiamo alla presenza del divino. Alle spalle dei due personaggi compare anche la testa della famosa asina del profeta, che evidenzia l’attenzione data dal pittore ai particolari del testo biblico.

a cura di Riccardo Panigada (Conservatore del Museo d’Arte Sacra San Martino)