La Cappella del Rosario

e il suo apparato pittorico

La Cappella del Rosario, cui si accede dalla navata sinistra della basilica e la cui ideazione progettuale va sempre ricondotta all’attività di Girolamo Quadrio, appare come un tempio a se stante, un vero e proprio gioiello per i suoi ricchi marmi, gli stucchi dorati, gli affreschi e le preziose tele opera di famosi pittori. La richiesta di autorizzazione inoltrata alla Curia di Bergamo relativa alla completa ristrutturazione e all’ingrandimento degli spazi adibiti in precedenza a sagrestia risale al 1676 ed è congiunta a quella riguardante l’edificazione delle tre nuove sagrestie. La Cappella, terminata nella parte muraria già l’anno successivo, si presenta con una simbolica forma ottagonale.

Già nell’arco di accesso si evidenzia la tematica mariana che contraddistingue tutto il complesso apparato decorativo. Racchiusi in eleganti cornici dorate, opera a stucco del luganese Vincenzo Camuzio, stanno i quindici medaglioni dipinti a fresco da parte del milanese Federico Ferrario. In queste immagini, rappresentanti i “Misteri del Rosario” e caratterizzate dalla scioltezza e sicurezza della pennellata, il pittore milanese, aggiornatosi proprio a Bergamo sull’opera dei grandi maestri veneti come Piazzetta e Tiepolo, ha lasciato un’opera di altissimo livello.

Otto grandi finestre scandiscono la parte superiore, mentre quella inferiore è coperta da una, più tarda, ricca decorazione in stucco, datata al 1764 e opera dell’artista Vincenzo Camuzio. Addossati alle pareti stanno gli stalli lignei disegnati nel 1791 da Giacomo Caniana e da lui eseguiti in collaborazione col fratello Francesco. Le tarsie che li coronano, raffiguranti i Sette dolori della Madonna, sono però opera dell’alzanese Giulio Masnaga, detto Fra’ Topolino, e datano alla fine del XIX secolo. La volta, anch’essa scandita dai complessi stucchi del Camuzio, è dipinta a fresco da Giuseppe Antonio Orelli nella parte centrale, con la raffigurazione dell’Incoronazione della Vergine, che, nello studio prospettico e coloristico, accentua illusionisticamente lo sfondamento verso l’alto dello spazio reale. Sempre ad affresco l’Orelli dipinse all’intorno, sopra gli stucchi della volta, le figure dei profeti che secondo la tradizione predissero in varie modalità la venuta di Maria.

Al centro della cappella è situato un altare di forme monumentali, la cui prima esecuzione venne affidata, nel 1698, ad Andrea Fantoni, che si avvalse della collaborazione del ticinese Pietro Mazzetti. L’altare fu poi ridisegnato da Giuseppe Caniana, nel 1754, e l’esecuzione delle nuove figurazioni affidate a vari scultori di provenienza milanese e bresciana. Dell’iniziale opera del Fantoni restano il bellissimo paliotto con raffigurata la nascita della Vergine, caratterizzato dalla complessa composizione dinamica e dalla forte intensità emotiva dei personaggi, ed uno degli angeli in marmo bianco di Carrara ai suoi lati. L’altro angelo laterale e quelli del tabernacolo sono invece opera del Mazzetti.

La vicenda dell’arredo pittorico è complessa.
Tutti i dipinti sono studiati per formare con l’apparato scultoreo un’unica grande visione metaforica inneggiante alla glorificazione della Vergine. Le tele in particolare rappresentano temi e figure di eroine dell’Antico Testamento prefiguranti la venuta della Vergine Maria.
La serie di dipinti che ornavano originariamente la Cappella del Rosario nel Settecento era comunque diversa da quella attuale. Si trattava per la maggior parte di opere di pittori dell’ambito veneto con chiari riferimenti a maestri come Tiepolo o Piazzetta, sulla falsariga di quanto accadeva in tutto il territorio bergamasco.

Le prime due commissioni furono rivolte a Enrico Albricci e Giovanni Raggi con Giaele e Sisara e Balaam benedice Israele. I contratti sono ancora conservati nell’Archivio di San Martino e risalgono al 1767. Nel 1769, probabilmente ancora una volta attraverso la mediazione del conte Giacomo Carrara, seguì l’incarico affidato a Francesco Capella per Abigail che placa David, che, proprio chiamato dal Carrara aveva fatto vent’anni prima il suo esordio in terra bergamasca nella basilica alzanese con le tre tele per la Cappella della Santa Croce.
Sempre nello stesso anno venne commissionata anche la tela rappresentante L’incontro di Davide con Betsabea e il piccolo Salomone al pittore milanese Federico Ferrario, di cui è da appena stato concluso l’impegnativo restauro.
Tra tutte queste tavole solo quella di Francesco Cappella è oggi nella sua sede originale. Le altre sono ora esposte al Museo San Martino.

Dalla fine del Settecento l’apparato pittorico della Cappella del Rosario vide infatti un radicale rinnovamento, anche in ottemperanza ai mutamenti stilistici del tempo. Infatti, oltre a collocare nella nicchia di fondo L’Assunzione della Vergine del Cavagna, proveniente dalla Chiesa di San pietro martire. vennero commissionate quattro tele ad altrettanti grandi esponenti del Neoclassicismo allora imperante. Nel 1795 fu la volta dell’Ester e Assuero del trevigliese Giovan Battista Dell’Era. A questa prima pala seguirono, nel 1810, quella con Giacobbe con Lia e Rachele del milanese Andrea Appiani, nel 1828, quella con Giuditta e Oloferne di Vincenzo Camuccini e, infine, ordinata nel 1828, ma consegnata solo nel 1837, quella rappresentante la Benedizione di Isacco al figlio Giacobbe, opera del cremonese Giuseppe Diotti, allora direttore dell’Accademia Carrara di Bergamo.
La nuova serie di tele doveva essere poi completata con la pala raffigurante Agar e Ismaele, commissionata anch’essa nel 1828, a Giovanni Carnovali, il Piccio. Per una lunga serie di vicissitudini quest’ultimo dipinto venne consegnato dal maestro di Montegrino solo nel 1863. Il nuovo dipinto rispondeva ormai pienamente alle esigenze emotive ed alle caratteristiche cromatiche della poetica romantica ed apparve così assai diverso dai precedenti tanto da essere rifiutato. Solo n tempi recenti, dopo lunghe vicissitudini, questo vero e proprio capolavoro dell’Ottocento itliano venne è stato collocato nella sede che gli competeva.

a cura di Riccardo Panigada (Conservatore del Museo d’Arte Sacra San Martino)